I tre fratelli Friedland, Martin, il maggiore, e i gemelli Eric e Ivan, sono figli di Arthur ma di donne diverse. Ciò non evita loro di somigliarsi molto e di condividere lo stesso percorso nella vita. Fin da subito è chiaro che Arthur non sarà un padre irreprensibile, anzi, scompare dopo poche pagine, abbandonando i figli e, seguendo l’istinto, parte alla ricerca d’ispirazione per coronare così il sogno di dedicarsi completamente alla scrittura.
I ragazzi crescono, Martin si ordina sacerdote, Eric diventa un consulente finanziario e Ivan un pittore. Ma le loro carriere sono solo apparenza, tutti e tre, chi in un modo, chi in un altro, sono truffatori, millantatori e impostori. Imbrogliano tutti, compresi se stessi, recitando ruoli che presto scapperanno loro di mano. Il romanzo racconta le loro storie a turno, dandoci diversi punti di vista e moltiplicando le prospettive. Tutti e tre vedono vacillare a poco a poco l’esistenza che hanno costruito, assistono impotenti al crollo delle loro illusioni, vedono svanire le vecchie motivazioni e arrivando, chi più chi meno, al fallimento.
Ecco che allora si pongono le domande fatidiche: ne è valsa la pena? Si può vivere nella menzogna, facendo credere a tutti di essere ciò che non si è? L’autore non dà risposte, spinge il lettore a riflessioni esistenziali, senza proporre soluzioni. Ma c’è sempre speranza nella vita, questo sì, e Kehlmann termina il racconto con Arthur che ritorna e instaura un bel rapporto con Marie, la bimba di Eric. Sarà dunque lei, con il suo punto di vista, a risolvere i conflitti della famiglia e dare un tocco di positività alla vicenda.
Oltre alla storia, decisamente avvincente, l’altro punto di forza del romanzo è, a nostro personalissimo giudizio, lo stile. La scrittura è precisa, scorrevole e mai banale. Il racconto è distaccato, “super partes”, l’autore sembra non volere che ci si affezioni ai personaggi, ma vista la fine che fanno, tanto meglio!
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