Durante la sua vita avventurosa, la sfortunata faina prende a poco a poco coscienza di sé, dei suoi limiti fisici e mentali. Di fronte ai grandi dilemmi della vita, la religione, la morte, l’amore, la cultura, ogni sforzo di emancipazione e di crescita interiore di questo animale umanizzato viene vanificato dall’istinto animalesco, dalle pulsioni quale la fame o il desiderio sessuale, che la bestiola non riesce a tenere a bada, nonostante gli sforzi.
Tanto è stato scritto sul significato del romanzo, sui messaggi che il libro intendeva mandare al lettore, sugli insegnamenti che l’autore voleva trasmettere. La storia di Archy è una metafora della nostra contemporaneità? È il cammino di un animale dotato però di una coscienza e di una sensibilità straordinarie? È un romanzo dove la religione, la cultura hanno un potere salvifico? O piuttosto un esempio di come gli istinti possano o no prevalere sui sentimenti? L’autore, appena proclamato vincitore dell’ambito premio, ha candidamente affermato che la sua fiaba fantastica, dove ha fatto sì che gli animali assumessero sembianze e caratteristiche umane, è stato in realtà un gioco, un modo piacevole per scatenare la sua fantasia. Ecco forse è questo il vero modo di giudicare questo romanzo: è una favola ben scritta, avvincente ed originale, da leggere attraverso gli strani occhi di una faina, un protagonista inusuale e decisamente insolito. Inutile, secondo me, attribuirgli altro…
Vincere il Premio Campiello è un grandissimo risultato (anche se è arrivato primo per la giuria popolare e solo quarto per la Giuria dei letterati) e faccio i miei complimenti all’autore ma per me il romanzo rimane un gran punto di domanda. E oggi come un anno fa, ancora non so decidermi: mi è piaciuto? Ve lo consiglio? Mah!
P.S.: La prima edizione del Premio Campiello nel 1963 è stata vinta da Primo Levi con “La tregua”.